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Il vocabolario a colori per gli allenatori del CSI

Lezione “anomala” per gli allenatori di calcio e pallavolo del CSI Vallecamonica impegnati nel corso di formazione. Non si è trattato del solito incontro con un relatore su temi tecnici o associativi; una serata dedicata allo “Sport a colori” nelle sue diverse sfaccettature che il CSI ha l’orgoglio di organizzare e promuovere sul territorio. Un mix tra testimonianze, riflessioni e musica legate dal tema dell’integrazione. Sala affollata nella sede di Plemo per questo appuntamento che aveva come scopo principale la riflessione sul ruolo potente dell’attività sportiva nel trasmettere messaggi sociali rilevanti. L’apertura è dedicata alle parole di Mauro Berruto, pubblicate sul quotidiano Avvenire, sulla sua esperienza vissuta a Montichiari con una “squadra speciale”. Invitato a dedicare parte del suo tempo a seguire alcuni ospiti dell’Ospedale psichiatrico giudiziario di Castiglione delle Stiviere, l’ex allenatore della nazionale di pallavolo accetta e nasce così un’esperienza emozionante. “Volevo creare intorno a quegli uomini delle condizioni di eccellenza e presi in prima persona l'impegno di far allestire il Palasport, ogni lunedì (giorno di riposo del mio club), come se ci fosse una partita di serie A. La rete, quella bella, i palloni ufficiali, le magliette di allenamento preparate negli spogliatoi, tutte le luci (la luce!) accese. Insomma tutto era perfetto, pulito, ordinato, luminoso. Ci allenammo per circa sei mesi pieni di emozioni che crescevano di allenamento in allenamento. Mai una defezione, mai una rinuncia. La differenza lo aveva fatto il luogo, la sua bellezza li aveva trasformati. Il risultato più clamoroso arrivò qualche settimana dopo. Un report indicava che le necessità di psicofarmaci di quelle persone, al termine del progetto, erano clamorosamente diminuite. Quella notizia mi fulminò, letteralmente. Dopo sei mesi di allenamenti assumevano una quantità di psicofarmaci vicina alla metà rispetto a quando avevano iniziato. Era un risultato oggettivo.” L’esperienza segna Berruto che confessa di non aver guardato più allo sport con gli occhi di prima. “Avevo imparato che la bellezza di ciò che ci circonda incide sul nostro comportamento.” La stessa esperienza vissuta sul nostro territorio, e da quest’anno all’interno del CSI Vallecamonica, dai CamUnici. La squadra di calcio speciale della Polisportiva Disabili Valcamonica ha portato una ventata di bellezza all’interno della nostra associazione. A raccontare la storia di questi ragazzi con disabilità psichica che hanno la passione del calcio sono stati due componenti del competente e folto staff tecnico. Sono uscite tutte le emozioni, la passione, le difficoltà incontrate sul cammino che è sfociato, in questa stagione, nella partecipazione al campionato del CSI riservato alla categoria femminile. Un confronto alla pari con atlete normodotate che ha fatto maturare i ragazzi della squadra e, allo stesso tempo, ha contribuito a far crescere la consapevolezza all’interno del CSI della forza di aggregazione e di “riscatto sociale” dello sport. Guidati dalla musica di Lucia, immancabile negli appuntamenti associativi del CSI camuno, e dalle letture di don Battista, assistente ecclesiastico, si è passati all’esperienza diretta di due atleti extracomunitari impegnati nel campionato di calcio. È una lunga storia quella che lega il CSI Vallecamonica ad esperienze di immigrati che provano ad integrarsi attraverso la pratica sportiva. Alla fine degli anni novanta erano squadre di ragazzi macedoni e bosniaci, poi arrivarono i sudamericani ed ora formazioni di rifugiati africani. Quest’anno non ci sono formazioni composte nella loro totalità da calciatori stranieri ma in tantissime nostre formazioni di tutte le categorie sono vive queste esperienze di integrazione riuscita. Ragazzi e ragazze straniere nate in Italia, rifugiati da poco nel nostro paese oppure stranieri radicati da anni nel nostro territorio, questo il mondo multicolore rappresentato nella nostra attività sportiva. Con il Csi lo sport vola anche oltre i nostri confini per portare questo messaggio di integrazione attraverso la pratica sportiva in altre nazioni dove la povertà, le difficili condizioni di vita fanno diventare un bene spesso irraggiungibile il gioco. È l’esperienza di “CSI per il mondo” raccontata agli allenatori da Silvia, giovane volontaria di Esine, e Tomaso, vice Presidente del CSI Vallecamonica. Lo scorso anno Silvia è volata, insieme ad altri 14 volontari del CSI, ad Haiti per trascorrere re settimane con i bimbi delle bidonville più malfamate dell’isola caraibica. L’obbiettivo? Quello di portare un po’ di serenità in queste zone dove è già difficile vivere quindi il gioco probabilmente è uno degli ultimi pensieri. Ma soprattutto è stata un’occasione per alzare lo sguardo spostandolo dalle nostre tranquille vite quotidiane a situazioni lontane da noi e spesso, purtroppo, sconosciute. Venti giorni passati ad organizzare giochi e anche un’Olimpiade con oltre 500 bambini impegnati, ma un periodo trascorso soprattutto per dare futuro e speranza a questi ragazzi haitiani. “Quello che mi ha fatto stare più male è il carattere rassegnato di questi ragazzi, sono senza speranza. La nostra idea è quella di riuscire un po’ alla volta a cambiare questo atteggiamento aiutandoli, per esempio, a diventare degli animatori per promuovere l’attività sportiva tutto l’anno”. I numeri impressionanti di questa diversità tra le varie parti del mondo sono stati snocciolati da Tomaso, veterano delle esperienze di CSI nel mondo con la collaborazione avviata da alcuni anni con la missione di padre Roberto nella Repubblica Democratica del Congo. Tre quarti dei bambini nel mondo non possono giocare, basta questo dato per riassumere le motivazioni dei volontari che partono con il CSI per queste esperienze. Cosa rimane agli allenatori dopo questa serata. Alcune parole e frasi che riassumono i colori dello sport proposto dal CSI. Innanzitutto la parola sport, mezzo potentissimo per coinvolgere chi è ai margini della società, chi ha difficoltà fisiche o psichiche, chi non ha il talento naturale. Poi passione ed emozioni, senza questi ingredienti l’attività sportiva diventa fine a se stessa, non ha quel qualcosa in più. “Giocare di squadra”, una considerazione emersa più volte negli interventi per sottolineare come il mondo sport non è un corpo separato della nostra società. Speranza è quello l’obbiettivo che deve animare gli allenatori nel loro impegno quotidiano. Non deve poi mancare quel pizzico di follia che caratterizza esperienze come quelle vissute all’interno della nostra associazione. Poi la maglia, fondamentale per sentirsi appartenenti ad un gruppo, alla società, per dare un senso a quello che si sta facendo, Infine la frase ripetuta da tutti e chiave per capire la bellezza di essere allenatore, arbitro, atleta, volontario all’interno del CSI: “Questa esperienza è servita a noi”. Insomma questo è il CSI!