A metà della settimana scorsa l’ultima serata del corso di formazione dedicato agli allenatori di calcio e pallavolo si era occupata del conflitto. La pedagogista Francesca Astolfi aveva invitato a riflettere sull’aspetto positivo di questa parola; il conflitto può diventare un’occasione per andare oltre, per superare positivamente determinate situazioni. Alcuni allenatori e dirigenti hanno colto al balzo l’assist per mettere in pratica queste indicazioni incappando però in uno dei due pericoli indicati dalla relatrice. Quello del conflitto che sconfina nella violenza. Attenzione, violenza verbale e non fisica ma spesso le parole cono peggio degli schiaffoni. Dall’inizio del campionato il fine settimana scorso è stato il peggiore dal punto di vista disciplinare. C’è stato un dirigente che si è sentito in diritto di scendere in campo e manifestare, durante l’intervallo, il proprio punto di vista all’arbitro su alcune sue decisioni. Con tempi e modi sbagliati, tanto che l’arbitro ha percepito una minaccia alla sua incolumità. Un allenatore durante una partita di una categoria giovanile ha espresso all’arbitro, a partita in corso, il proprio punto di vista su una situazione di gioco. Non proprio con toni e maniere educate. A fine partita i genitori hanno pensato bene di completare l’opera bisticciando tra loro. Due esempi non del tutto educativi per i ragazzi che vi lasciamo immaginare come hanno reagito e da che parte si sono schierati. Su un altro campo c’è stato il paradosso di un genitore che aggredisce (verbalmente e qualcosa di più) l’allenatore del figlio. È inutile ripeterlo, sappiamo benissimo l’importanza di una persona che si mette al servizio degli altri permettendo ai propri figli di praticare la loro passione sportiva. Prenderli a male parole o mettere le mani addosso non è sicuramente un incentivo per il loro impegno. Continuano a crescere le squadre che hanno a disposizione un numero notevole di ragazzi/e; questo è un bene perché testimonia la voglia di fare sport nello stesso tempo però gli allenatori fanno i salti mortali per poter accontentare tutti. Nonostante i regolamenti del CSI permettono il massimo coinvolgimento gli allenatori non riescono a farli giocare di più. Perché allora non fare due squadre visto che le rose sono così ampie? Mancano persone disponibili a seguire i ragazzi. Prendere a male parole un allenatore o addirittura mettergli le mani addosso non è un bel biglietto da visita, un incentivo a trovare nuove disponibilità. Il problema degli arbitri è noto; sono pochi e manca il ricambio generazionale. Minacciarli, offenderli e agitargli la bandierina sotto il naso non aiuta certo a migliorare la situazione, forse non è il modo migliore per incentivare un giovane a diventare arbitro. A chiudere il cerchio questa settimana l’aggressione, finita la partita, di alcuni tifosi a giocatori e sostenitori della squadra avversaria. Minacce, offese, mani addosso e qualche botta. Il conflitto è positivo quando c’è il confronto e quando si parla di confronto la prime parole che vengono in mente sono educazione e rispetto. Rispetto soprattutto dei ruoli. Lo sport che propone il CSI, con tutti i suoi limiti, non è questo. Ne parliamo da anni qualcuno non l’ha ancora capito. Ma noi insistiamo.
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